E’ troppo tardi per essere preoccupati e pessimisti

[Roma, Stazione Termini. Graffiti. S. Petrella]

In questi giorni di quarantena un po’ ovunque vengono proposte numerose analisi sulle cause della pandemia, sulle sue implicazioni politiche, economiche e sociali – oltreché, evidentemente, sanitarie e umane – e sui complicatissimi tentativi di provare ad immaginare un “dopo” che non sia la piatta riproposizione di un “prima” magari con qualche correttivo. La sensazione generale è quella di assistere ad un evento planetario, epocale e terribile, un crash della dottrina liberista, quello che Marx definiva la natura distruttiva del capitale giunto alla sua fase matura.

E non parliamo solo di epidemie, con le quali l’umanità ha acquisito una certa confidenza fin da quando ha imparato a coltivare piante e allevare animali e così facendo a modificare gli ecosistemi e a concentrarsi in assembramenti promiscui. Parliamo soprattutto della profondità e della velocità con cui la nostra specie ha perturbato alcuni regolatori generali degli equilibri ecologici: il clima innanzitutto, l’acqua, la biodiversità, gli oceani, i ghiacciai, il permafrost, le foreste, le risorse naturali e tutti i mille e mille fili ecologici che collegano questi fattori e che costituiscono l’impalcatura dei sistemi viventi.

È del tutto evidente che queste profonde e rapide perturbazioni generano crisi, crash che si susseguono e che finiranno col sovrapporsi e amplificarsi a vicenda. È solo un caso che l’emergenza incendi dei mesi scorsi (Siberia, Amazzonia, Alaska, California, Australia, Indonesia, …) non si sia drammaticamente sovrapposta all’emergenza coronavirus e non è escluso che le conseguenze dell’inverno più caldo di sempre, il 2019 (v. “Il riscaldamento globale sta accelerando” SNPA 11/03/2020), finiranno per sovrapporsi alla perdurante pandemia.

Insomma questo è il quadro, lo sapevamo da tempo, anche se la velocità con cui si manifestano i fenomeni un po’ ci ha spiazzati (come sempre accade quando si ha a che fare con dinamiche che crescono in maniera esponenziale).

Non sarà qualche altra generazione futura a doversi occupare di tutto ciò, con tempo, con calma e con gli strumenti culturali e politici che nel frattempo saranno stati acquisiti. No, l’era delle turbolenze è questa, è già arrivata e ci incalza. Ci stiamo dentro pure noi, le vecchie generazioni che non sanno lasciare una eredità intellettuale valida alle future generazioni per combattere adeguatamente e ritrovare gli equilibri ecosistemici. Perché è inutile illudersi: i nuovi scenari vanno affrontati con concetti e strumenti nuovi, non prendendoli in prestito tal quali dall’armamentario delle teorie-prassi rivoluzionarie del secolo scorso, né dall’ambientalismo perbenista dei giorni nostri.

Questa complessa problematica comincia a farsi strada nel dibattito per la verità ancora assai frammentato che alcuni – reti, collettivi e singoli – tentano di avviare a livello planetario. E molto interessante, in questo scenario, è anche il contributo che viene fornito da una moltitudine di comunità locali e popoli nativi, spesso le prime vittime dei grandi cambiamenti globali.

Tuttavia questo contesto storico offre anche delle inedite possibilità: libera energie.

Ci ha sorpreso il movimento mondiale Fridays for Future che, anche se caldeggiato dai fautori di un nuovo ciclo, green, di accumulazione capitalistica, ha tuttavia mobilitato potentissime energie innovative e offerto l’occasione ad una nuova generazione di adolescenti di maturare un pensiero radicalmente critico. Ci ha ugualmente sorpreso la vastità e determinazione del movimento dei gilets jaunes così come il protagonismo delle istanze femministe, ecologiste e pacifiste che pervadono il sud del mondo.

Ormai è veramente troppo tardi per essere preoccupati e per essere pessimisti, questo spazio lo abbiamo esaurito negli anni e nei decenni del nostro impegno e della nostra militanza politica e sociale. Oggi occorre osare progettare un mondo diverso, un sistema economico-sociale resiliente e solidale. Nessuno di noi sa farlo e nessuno di noi può farlo da solo.

Oggi dovremmo mettere all’ordine del giorno la costruzione di un grande Forum globale in grado di dare voce, visibilità e connessione alle mille esperienze che in ogni continente sperimentano strade nuove, creano nuove aree di conflitto e rilanciano la critica al dominio capitalistico sulla natura e sull’uomo. Sarebbe un bel modo per far sentire la voce consapevole e solidale dei popoli della Terra nel dopo pandemia!

[Roma, San Lorenzo. S. Petrella]